Biografia

Enzo Ferroni nasce a Firenze il 25 marzo 1921 e si laurea in Chimica presso l’Ateneo fiorentino nel 1945. Negli anni ’50 del secolo scorso si specializza in chimica dei colloidi e delle interfasi all’Università Libera di Bruxelles sotto la supervisione di R. Defay e I. Prigogine (Premio Nobel per la Chimica nel 1977), quindi al Centro CNRS di Bellevue otto J. Trillat della Académie de France. Nel 1954 lo troviamo libero docente di chimica fisica presso l’Università degli Studi di Firenze, per divenire poi professore ordinario a Cagliari; dal 1964 al 1996 occuperà la prima cattedra di chimica fisica nell’Università della città natale. In questo Ateneo rivestirà le più alte cariche accademiche: direttore dell’Istituto di Chimica Fisica, del Dipartimento di Chimica nel primo triennio dalla sua fondazione, Preside della Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali ed infine Magnifico Rettore dal 1976 al 1979.

Enzo Ferroni Rettore
Nel 1997 gli viene conferito il titolo di Emerito di chimica fisica dall’allora Ministro per l’Università e la Ricerca Scientifica. Nel 1993 fonda il Consorzio Interuniversitario per lo Sviluppo dei Sistemi a Grande Interfase (Centro di Ricerca Nazionale sulla chimica delle superfici e dei colloidi con sede centrale a Firenze) di cui resterà Presidente fino al 2006. Il 7 Aprile 2007 muore appena all’indomani del suo 86° compleanno.

Nel 1967 riceve la Medaglia d’Oro come benemerito per la scuola, la cultura e l’arte su proposta del Ministro della Pubblica Istruzione per la «sua generosa collaborazione offerta per la salvaguardia e il recupero del patrimonio artistico e culturale di Firenze danneggiato dall’alluvione del 4 Novembre 1966 ». Nel 1977 il Presidente della Repubblica Italiana Giovanni Leone lo designa Grande Ufficiale dell’Ordine.
Nel 1979 il Presidente della Repubblica Francese Valéry Giscard d’Estaing gli conferisce il titolo di the Officier de l’Ordre National du Mérite.

L’attività scientifica di Enzo Ferroni è documentata da oltre 300 pubblicazioni scientifiche nel campo delle interfasi, delle superfici, dei colloidi, della spettroscopia elettronica, della crescita epitassiale di cristalli e della chimica-fisica applicata alla conservazione del patrimonio culturale. In molti di questi campi riuscì a realizzare progetti di ricerca applicata con industrie sui temi delle leghe inossidabili a base di rame, dei processi di flottazione, delle dispersioni concentrate carbone- acqua, della tecnologia dell’alto vuoto per lo studio di interfasi solido-gas e della tecnologia tessile col Distretto di Prato.

Enzo Ferroni è stato Membro di numerosissime Società Scientifiche ed Accademie Nazionali ed Internazionali, fra cui il Weizmann Institute, l’International Energy Agency, il World Monument Fund, la International Union for Pure and Applied Chemistry, la Società Chimica Italiana, l’American Chemical Society, la Societé Française de Chimie Physique, la New York Academy of Sciences, la Faraday Society, l’American Association for the Advancement of Science, la Societé Chimique de France, l’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze fondata da Michelangiolo, l’International Institute for the Conservation of Historic and Artistic Works.

Al di là del valore dell’insigne scienziato studioso della chimica dei materiali e della cosiddetta soft matter (collabora a lungo col Premio Nobel per la Chimica 1963 Giulio Natta ed intesse rapporti fecondi col Premio Nobel per la Fisica 1991 Pierre Gilles de Gennes), Enzo Ferroni può essere considerato a buon diritto uno dei maggiori pionieri nel campo delle scienze sperimentali applicate alla conservazione del patrimonio culturale. Il suo interesse e la sua passione per contribuire alla salvaguardia delle opere d’arte nasce nei tristi e drammatici momenti successivi all’alluvione fiorentina del 1966. In quei giorni, come amava ricordare, sente il richiamo del “dovere civico” e promuove, fra l’indifferenza e lo scetticismo di molti suoi colleghi scienziati, il fecondo connubio fra scienza e restauro. Non si accontenta di mettere al servizio della conservazione le sue competenze di scienziato chimico per la semplice diagnostica, vuole contribuire alla impostazione di nuove tecniche innovative - che poi si riveleranno rivoluzionarie - per la conservazione delle opere d’arte, in particolare per le pitture murali. Con il grande restauratore di affreschi Dino Dini inventa un metodo per la desolfatazione degli affreschi basato sulla duplice e successiva applicazione di carbonato d’ammonio e idrossido di bario, metodo che porta appunto i loro nomi e che è oggi applicato in tutto il mondo. E poi il tributilfosfato per staccare l’Ultima Cena di Taddeo Gaddi nel Cenacolo di Santa Croce invaso dalle acque dell’Arno, e ancora le microemulsioni e le malte autogene per i dipinti murali della Cappella Brancacci e tanti altri contributi di memorabile importanza.

Per lunghi anni Enzo Ferroni è stato un leading conservation scientist, come ha scritto nell’Obituary il quotidiano inglese The Independent, noto in tutto il mondo in un Paese, il nostro, in cui la cultura scientifica troppo spesso è stata negletta e tenuta in disparte nel mondo complesso e composito della conservazione del patrimonio culturale: oggi, che fortunatamente così non è più, possiamo esprimere un profondo senso di gratitudine a questo insigne studioso che ha dato un contributo fondamentale alla realizzazione di un’integrazione paritaria fra le competenze umanistiche, tecnologiche e scientifiche.Enzo Ferroni ha contribuito in modo fondamentale all’evoluzione del concetto di restauro scientifico, con la consapevolezza che la scienza deve incentivare l’approccio ad una conservazione realmente preventiva. Nel 1995 concludeva una conferenza plenaria al 1st International Congress ‘Science and Technology for the Safeguard of the Cultural Heritage in the Mediterranean Basin’ con queste parole:

Enzo Ferroni in occasione del Convegno
in suo onore nel 1997
«Qualsiasi intervento di conservazione, sia su beni mobili che immobili, deve prefigurare non solo il restauro dell’opera, ma anche la puntualizzazione di condizioni ottimali per prevenire il degrado futuro, ossia deve prevenire, per quanto possibile, ulteriori interventi di restauro. In questo senso si potrebbero assumere come punto di riferimento, come regola d’oro della conservazione preventiva le parole di John Ruskin che così scriveva nel lontano 1849: ‘Il principio fondamentale dei tempi moderni … è quello di trascurare le opere d’arte prima, per poterle successivamente restaurare. Se avremo la giusta cura dei nostri monumenti, allora non necessiteremo più di frequenti restauri… Dobbiamo sorvegliare il nostro patrimonio culturale con ansiosa premura; dobbiamo custodirlo al meglio delle nostre possibilità e ad ogni costo, e proteggerlo dal deterioramento… e tutto ciò facciamolo affettuosamente, con atteggiamento di riverenza e continuativamente, e così le molte generazioni che nasceranno potranno sostare ancora sotto la sua ombra …’ ».

Se ancora centinaia di migliaia di visitatori sostano sotto l’ombra del Gaddi, dell’Angelico, o di Masaccio dobbiamo essere grati anche al suo intuito, al suo ingegno e alla sua passione disinteressata. Enzo Ferroni, insomma, ebbe il merito di intuire la fondamentale importanza del nesso fra il pensiero scientifico e l’azione pratico-manuale del restauratore, stabilendo quel memorabile sodalizio col grande restauratore Dino Dini, sodalizio che ha dato il nome al celebre metodo per la desolfatazione delle pitture murali che reca i loro nomi e che potremmo condensare nel motto di Leonardo da Vinci “studia la scienza e poi seguita la pratica nata da essa scienza”.

I pionieri di allora furono pochi, non avevano laser, spettrometri in trasformata di Fourier, acceleratori di particelle ultra-sofisticati, cromatografi, tecniche di PCR, microscopi elettronici a scansione ambientale, diffrattometri a raggi x di ultima generazione e quant’altro è invece oggi disponibile; per dirla con Primo Levi, chimico famoso per motivi letterari e di dramma umano mondiale, erano “inermi, solitari ed appiedati…; non lavoravano in équipe ma soli, in mezzo all’indifferenza del loro tempo … e affrontavano la materia senza aiuti, col cervello e con le mani, con la ragione e la fantasia.”

Luigi Dei, 2012